Giunto a Vienna da pochi mesi, il giovane Beethoven riceve le prime committenze importanti con le quali alcuni mecenati, in questo caso il conte Appony, lo stimolano a cimentarsi con un genere impegnativo e rischioso come il quartetto per archi. Beethoven esita tuttavia a confrontarsi direttamente con Haydn, nume tutelare del quartetto classico, e preferisce riutilizzare alcuni materiali abbozzati a Bonn, rivolgendosi piuttosto ai modelli meno impegnativi del “divertimento” e della “serenata”, molto più liberi nella forma e molto meno rigorosi nelle condotta delle parti. E’ questa la premessa del Trio op. 3 per violino, viola e violoncello, formazione atipica per la quale Beethoven scrisse in tutto cinque opere, tutte da mettere in relazione all’influsso esercitato sulla sua musica dall’esempio di Mozart. Il Trio op.3 è articolato in sei movimenti, con un solo tempo lento (l’Adagio posto in quarta posizione), due Minuetti di tono molto leggero, un Andante ancora di stile danzante, un Allegro con brio di brillante energia e un Allegro conclusivo di taglio più originale. La prevalenza accordata al violino non compromette la ricerca di un equilibrio timbrico che rappresenta forse l’acquisizione più significativa dell’intera composizione. Da questo punto di vista, l’Adagio è il movimento più interessante: per l’elaborazione che fa spesso subentrare il violoncello nell’esposizione della melodia, ma anche i raffinati “raddoppi” della viola (che esegue alcune frasi all’unisono con il violino o con il violoncello) e soprattutto per la serie di transizioni, gruppi di accordi e brevi imitazioni che consentono a Beethoven di sfruttare in modo più vario la collaborazione fra i due strumenti. Nell’insieme, si tratta comunque di un brano che non lascia molto spazio al virtuosismo e che predilige una cifra espressiva più lirica ed intimista, per quanto serena e disimpegnata. Il debito nei confronti di Mozart è certamente evidente nello spirito e nel tomo generale della composizione, ma più in dettaglio si può riconoscere nel modo in cui Beethoven, analogamente a quante avviene nelle serenata e nei divertimenti mozariani, dà spazio nella composizione a una grande abbondanza di idee che si succedono l’una all’altra, senza troppo tenere in conto la preoccupazione di sottoporle a procedimenti di sviluppo che il genere gli consente di trascurare. Non mancano elementi di stile popolare che si ritrovano specialmente nei Minuetti, in particolare nel secondo, nel cui Trio il violino compie figurazioni che ricordano la musica tzigana.
TRIO FARNESE
Nel 2017, in occasione di uno degli appuntamenti “Concerti aperitivo” organizzati dalla Fondazione Arturo Toscanini di Parma allo scopo di far accedere un vasto pubblico alla musica da camera, si è formato il Trio Farnese. Il Violinista Daniele Ruzza, chiamato a formare il trio, ha pensato di coinvolgere Costanza Pepini alla Viola e Pietro Nappi al violoncello. Per l’occasione, il trio si è cimentato con l’esecuzione della trascrizione di Bruno Giuranna delle Variazioni Goldberg di J S. Bach e, in seguito al successo riscosso, i membri del trio Farnese hanno deciso di continuare il progetto affrontando l’importante repertorio dedicato a questa formazione. Daniele Ruzza, oltre ad essere violinista della Fondazione Arturo Toscanini, vanta anni di esperienza nel repertorio cameristico anche come primo Violino concertatore con l’Accademia Musicale di San Giorgio e nel repertorio barocco, collaborando con la Venice Baroque Orchestra di A. Marcon e G. Carmignola. Costanza Pepini, membro fondatore del Quartetto Ascanio dal 2005, vanta numerose collaborazioni con musicisti di fama internazionale nella musica da camera esibendosi e partecipando a prestigiosi festival in Italia e all’estero.
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